Mio caro lettore, hai mai sentito nominare il principio della rana bollita? Lo so, gli stufati di anfibi non danno l’idea di essere particolarmente appetitosi, ma non c’è da temere: nessun animale è stato maltrattato durante la scrittura del mio articolo! La rana bollita è una storia di cambiamento, di procrastinazione e di consapevolezza di sé stessi. È stata pubblicata, per la prima volta, dal brillante linguista di origini statunitensi Noam Chomsky – di cui ti consiglio di leggere “La natura umana – Giustizia contro potere” scritto a quattro mani col collega Michel Foucault, filosofo francese e padre del post-strutturalismo.
Non perdiamoci in chiacchiere!
La storia della rana bollita
“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La temperatura sale. […] La rana si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora supporta e non fa nulla. […] La rana finisce semplicemente morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, e sarebbe balzata subito fuori dal pentolone” – ci racconta Noam Chomsky.
E a pensarci bene, la rana bollita di questa storiella non è stata uccisa né dall’acqua troppo calda né dal crudele umano che ha acceso il fuoco, bensì dalla sua incapacità di trovare il momento giusto per fuggire dalla trappola. L’animale ha procrastinato, col risultato di rimetterci le penne – ops, le squame!
Cosa ci insegna la storia della rana bollita?
Su So di Non Sapere ti ho già spiegato quanto sia importante trovare una strada soddisfacente e guadagnarti la felicità un passo alla volta. La storia della rana bollita di Chomsky ci porta a riflettere su un aspetto ancora più interessante: quando i cambiamenti avvengono troppo lentamente, non siamo in grado di adattarci al contesto con la giusta flessibilità mentale. E nel momento in cui tentiamo di reagire, ci sentiamo improvvisamente deboli, stressati, fiacchi e incapaci di uscire dall’impasse. Proprio come l’animale del racconto, anche noi preferiamo (troppo) spesso adeguarci a situazioni negative – relazioni tossiche, obiettivi in cui non crediamo davvero, difficoltà quotidiane, lutti, depressione, rabbia, lavoro frustrante ecc. – pensando, “dai, resisto ancora un po’! Che vuoi che sia…”
Mese dopo mese, ci ritroviamo impantanati nelle sabbie mobili di una vita che non ci appartiene davvero. Accettiamo l’infelicità e la mancanza di autostima come fatti di poco conto, con naturalezza. Le cattive abitudini s’impadroniscono del nostro tempo.
Le mie considerazioni sulla rana bollita
Sai, non credo che il potere delle abitudini sia negativo. Tutt’altro. Ritengo piuttosto che la vicenda della rana bollita richiami la nostra attenzione su una valida alternativa alla sofferenza accettata passivamente: il cambiamento. Certo, le piccole-grandi rivoluzioni personali non sono esenti da timori, difficoltà, incertezze e ostacoli… ma a chi importa davvero? Siamo gli unici individui con cui trascorreremo il resto della nostra vita, e dobbiamo pretendere il meglio per noi stessi e di noi stessi.
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A presto,
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