«Oggi è un nome senza realtà, mentre è stata una realtà senza nome» – sono le parole pronunciate dal maestro Abu’l-Hasan Ali al-Busanji nel X secolo a proposito di quell’insieme di riti, di dottrine e di pratiche considerate il patrimonio mistico dell’Islam: il sufismo. A differenza della «via larga» della shari’a seguita dalla maggior parte dei musulmani, quest’ultimo invita i credenti a percorrere la «via stretta» della tariqa.
Mio caro lettore, molte sono le domande che, con ogni probabilità, necessitano di una risposta. Ed è questo il motivo per cui ho riassunto le informazioni più interessanti, rilevanti e straordinarie tratte dalla lettura di La via al sufismo nella spiritualità e nella pratica di Gabriele Mandel: un manuale di facile consultazione che prende il lettore per mano e lo accompagna alla scoperta della filosofia più coinvolgente, intima e segreta dell’Islam.
Curioso di saperne di più?
Prima di immergerti nella lettura, ti invito ad aprire la mente e il cuore alla comprensione del sufismo. Come tutte le pratiche religiose che arricchiscono l’essenza, le emozioni primarie e le aspettative degli uomini, anche la tradizione islamica dev’essere considerata un patrimonio ormai centenario, lasciatoci in dono dai nostri (saggissimi) antenati del Medio Oriente.
Dunque, partiamo dalle basi e cerchiamo di comprendere…
… Che cos’è il sufismo?
L’obiettivo della pratica sufi è la conoscenza di Dio; l’esperienza del divino viene concessa agli uomini che affrontano un lungo iter di purificazione interiore. Quest’ultimo prende il nome di tariqa e converge verso la massima realizzazione individuale.
Il praticante taglia i propri traguardi spirituali nel momenti in cui – sotto la guida di un maestro, lo shaykh – ottiene di cogliere l’essenza della Realtà; essa è nient’altro che un riflesso, una dimensione illusoria di quel che il Vero Dio rappresenta per il discepolo (e per l’umanità tutta).
Riesco quasi a immaginare i pensieri che ti frullano per la testa. Le mie potrebbero sembrarti elucubrazioni di un filosofo, oppure rivelazioni di un profeta. Eppure, ti assicuro che il sufismo custodisce una forte componente pratica, fattuale. L’obiettivo del misticismo islamico può essere riassunto nella maniera che segue: nei limiti dell’umano, gli individui hanno il dovere di squarciare il velo che li separa dalla presenza del divino e dalla scintilla che ha generato la Vita. In questo modo, si ha il potere di ricongiungersi al Dio.
L’iter di sviluppo e di miglioramento personale è lungo, nonché complesso. Il discepolo procede lungo la via della tariqa, suddivisa a propria volta in maqamat. Queste ultime sono tappe intermedie che – dopo essere state raggiunte – consentono di «misurare» i progressi compiuti da ogni singolo credente. Ogni maqama è il punto di partenza da cui raggiungere la maqama successiva con impegno, perseveranza e costanza.
E se sei un habitué di So di Non Sapere ricorderai senza alcun dubbio l’importanza degli obiettivi SMART nella vita di tutti i giorni. Anche noi, immersi in una realtà frenetica e via via più incalzante, abbiamo il diritto (e il dovere) di tagliare i traguardi della nostra esistenza tenendo a mente che il successo è un insieme di micro-tappe sfidanti, motivanti e stimolanti.
Ogni grande cambiamento interiore o esteriore, individuale o sociale, pratico o teorico, laico o religioso prende avvio da un primo, determinante passo in direzione della rivoluzione. E nel mio piccolo, mi auguro che la saggezza mistica ed evocativa del sufismo possa stimolarti a dare il meglio di cui sei capace. Sempre.
Quali sono le tappe sufiste più importanti ?
Il sufismo è prima di tutto un viaggio; un viaggio spirituale che pone al centro dell’esperienza mistica il legame tra l’uomo e la divinità. Ebbene, l’esperienza e il superamento delle maqamat consistono in un progressivo perfezionamento e avvicinamento al Dio.
Si comincia con la benedizione – quella che prende il nome di baraka – e si continua alla volta dei riti purificatori antichi. Alla base del concetto stesso di «purificazione» sussiste il dhikr – traducibile in «ricordo, menzione».
Ogni confraternita sufista possiede le proprie tradizioni e le proprie regole, ma generalmente il discepolo si approssima alle maqamat mediante la professione di fede e la pronuncia di alcuni dei nomi attribuiti alla divinità.
Sì, perché ti interesserà sapere che il Dio islamico ha novantanove nomi, ognuno dei quali correlato a una data manifestazione della Natura e del Creato. Secondo la tradizione, soltanto Adamo – il rappresentante di Dio in Terra – ebbe il privilegio di elencarli tutti. Ed è questo il motivo per cui i discendenti mortali del Primo Uomo possono seguire le orme del loro predecessore e aspirare alla comunione completa e intellegibile col Dio.
Per riuscire nell’intento è necessario proseguire a testa alta lungo la via della Verità. Raggiungendo la massima comprensione spirituale, il fedele si approssima al suo Creatore.
Per dovere di completezza, ti ricordo che la gerarchia del sufismo – quella che prende il nome di «Polo Supremo» – è dominata anche dalla figura superiore dei Profeti. Essi sono gli unici che si sono approssimati al Dio in virtù della loro straordinaria saggezza.
Alla scoperta delle confraternite del sufiste.. tra passato e presente
Il sufismo di diffuse a macchia d’olio a cavallo tra i VIII e il X secolo, in concomitanza all’organizzazione e alla sistematizzazione della teologia islamica canonica (kalam). In particolare, la disciplina summenzionata affonda le sue radici nell’Islam sunnita, portando alle estreme conseguenza il bisogno di raggiungere una dimensione di fede (ihsan) prossima alla perfezione.
E così, nel tentativo di dare nuova vita ai principi tradizionali della shar’ia – alla base di tutti i percorsi di arricchimento spirituale indotti dall’Islam – i maestri sufi decisero di tratteggiare le tappe che avrebbero alla scoperta della Verità divina. La Via dei Sufi (tariqa) è, dunque, un processo lineare che avvicina l’individuo a un ipotetico nucleo di comprensione, saggezza e risveglio interiore.
E dal momento che la tariqa può essere intrapresa da qualunque punto di partenza, non sorprende che i discepoli del sufismo abbiano trovato nei precetti di fede mediorientali obiettivi di crescita individuale altamente personalizzati.
La flessibilità e la versatilità sono la chiave di lettura da cui accedere al senso ultimo del sufismo: un iter spirituale che consente ai credenti di scegliere la strada che più gli si addice. Per la prima volta, è la religione a esser cucita ad hoc per il singolo praticante (non viceversa). Un aspetto, quest’ultimo, che spiega il motivo per cui la fioritura del sufismo sia stata fin da subito implacabile, favorendo la formazione di confraternite diverse le une dalle altre – e proprio per questo motivo uniche e affascinanti ancora oggi, a distanza di secoli.
In particolare, la vastità interpretativa del misticismo islamico spinse i maestri sufi a fondare gruppi di credenti legati dal rispetto reciproco e dal desiderio di trovare strade di avvicinamento al Dio.
Le confraternite prendono il nome di Turuq, e si fondano su due aspetti di fondamentale importanza: A) l’osservanza della volontà del fondatore e B) il ruolo del maestro, responsabile dell’iniziazione, della benedizione e della formazione dei discepoli.
Di seguito, ho trascritto le caratteristiche più interessanti ed evidenti delle principali Turuq del sufismo:
- Rifa’iya: si diffuse, in particolare, nei territori iraniani, turchi e indiani. In virtù della sua semplicità, attirò discepoli provenienti prevalentemente da ceti medio-bassi.
- Qadiriya: è considerata, di diritto, la più antica delle Turuq e sorse tra le strade di Baghdad, diffondendosi poi a macchia d’olio nel Corno d’Africa, in Turchia, in Siria e nel Maghreb. Raggiunse le regioni dell’India soltanto nel XIX secolo, prima di espandersi nel Caucaso.
- Naqshbandiya: fondata nell’Asia Centrale, quest’ultima attirò fedeli di casta più elevata – soprattutto in India. È ricordata dai sufi per aver attecchito anche in Europa e negli Stati Uniti d’America, coinvolgendo le popolazioni occidentali meno avvezze al culto dell’Islam e del suo Dio.
La domanda sorge, dunque, spontanea: qual è il lascito del culto mistico legato all’Islam? Per rispondere al quesito è necessario fare luce sulle implicazioni storico-politiche del patrimonio religioso in questione, volgendo lo sguardo alla tradizione – spesso conflittuale, ma non per questo meno fascinosa e magnetica – dei Paesi del Medio Oriente.
Fai un bel respiro profondo e sali sulla macchina del tempo (letteraria) che ho costruito per te. Per saperne di più, ti consiglio di aggiungere alla tua libreria il manuale da cui ho tratto le informazioni riassunte qui di seguito. Mi riferisco a un piccolo masterpiece di facile lettura: La strada del sufi di Idries Shah.
Che cos’è rimasto del sufismo al giorno d’oggi?
Le confraternite del sufismo sono molte – e in buona salute, nonostante i grandi cambiamenti politici e socio-culturali che hanno coinvolto il Medio Oriente. Da sempre terra di confine, quest’ultimo ospita sufi di credi diversi.
Ad ogni modo, sarebbe un errore ritenere che la pratica spirituale in questione sia del tutto svincolata dalla dimensione politica dei Paesi. A differenza dei mistici cristiani – noti in tutto il mondo per la loro tendenza all’auto-isolamento e alla preghiera monastica – i sufi sono da sempre trascinatori di folle. Non di rado, i maestri hanno riscritto il destino di intere popolazioni, mettendo il bene della comunità al primo posto.
In alcuni casi, il sufismo e la sua organizzazione gerarchica supplirono alle mancanze politiche di intere nazioni. È questo il caso della Qadiriya congolese, che già nel XVIII secolo aprì svariate scuole a vantaggio della gente del posto.
Non meno interessanti furono i coinvolgimenti della Naqshbandiya indiana, che strinse dei legami significativi con l’élite governativa locale. Lo stesso avvenne con la Muridiya senegalese, ispirata alla Qadiriya e alla sua sfera di influenza. Già nel XX secolo, alcune confraternite di sufisti erano riuscite ad affermarsi in maniera netta e incontrovertibile, favorendo così la diffusione dell’iter di iniziazione da loro proposto.
In aggiunta, è opportuno ricordare che alcune Turuq giocarono un ruolo di prim’ordine nella formazione delle milizie armate anticoloniali che tentarono di arginare l’espansione in Africa e in Medio Oriente degli eserciti europei e occidentali. Tra i tanti esempi, voglio ricondurre la tua attenzione sulla Senussia, in Libia, che organizzò rivolte e guerriglie urbane contro l’esercito italiano nella prima metà del Novecento. La Qadiriya e la Naqshbandiya si schierarono, invece, contro le truppe zariste prima, e sovietiche poi.
Infine, alcune confraternite sopravvissute ai grandi stravolgimenti della Storia – come il movimento sufi fondato dal clerico di origini turche Fetullah Gulen – si sono distinte sul piano internazionale per la spiccata apertura a culti e tradizioni spirituali diversi.
Il desiderio di dialogare con musulmani, cristiani e minoranze etnico-religiose – diffusesi in particolar modo negli USA – è un aspetto di primaria importanza, nonché testimonianza della forte intelligenza emotiva del sufismo moderno, praticato ancora ai giorni nostri.
Il sufismo in pratica – Una guida dalla A alla Z per saperne di più
Indipendentemente dal tuo culto di appartenenza, resta il fatto che il sufismo sia governato da una forte tendenza all’aggregazione. I fedeli sufi sono mossi innanzitutto dal desiderio di approssimarsi alla Verità in maniera universale e totalizzante, distaccandosi gradualmente dall’immagine di una religione stereotipata e stipata all’interno di dogmi inviolabili.
C’è una citazione di J. Al-Rumi che ha esercitato su di me un enorme fascino. Recita: «Di là dalle idee, di là da ciò che è giusto o ingiusto, c’è un luogo. Incontriamoci là».
Non so tu, ma credo che la saggezza del passato – la stessa tramandata a noi occidentali dalle pratiche di Mindfulness e dai benefici della meditazione sul corpo e sulla mente – sono… un faro che illumina la rotta!
Quante volte ci innamoriamo delle nostre idee, a tal punto da rifiutare l’ascolto e la comprensione empatica dei nostri interlocutori? Il modus operandi in questione ha un impatto negativo sulle relazioni interpersonali della nostra routine quotidiana, ma anche sulla motivazione intrinseca che ci induce a portare a termine gli obiettivi che ci siamo prefissati.
Insomma, dimentichiamo che è tutto relativo. Lo sono il bene e il male, la felicità e la tristezza, il successo e il fallimento. Ebbene, credo che il potere terapeutico e liberatorio del sufismo risieda proprio in questo: nella capacità di ispirare l’individuo a dare il massimo, a sperimentare, a giocare con la vita e a liberarsi delle trappole materialistiche di cui noi occidentali siamo spesso vittime inconsapevoli.
A proposito, fammi sapere qual è la tua opinione sul sufismo con un commento qui sotto, perché non vedo l’ora di leggere la tua esperienza spirituale e individuale.
Il sufismo e l’arte: un legame indissolubile
Non tutti sanno che le pratiche religiose sufi hanno ispirato poeti, pittori e scrittori d’Oriente e d’Occidente in virtù del loro afflato spirituale, intimo e creativo.
Se non vedi l’ora di scoprire come il sufismo ha influenzato le parole dei grandi pensatori del presente e del passato, ti suggerisco di dare un’occhiata ai versi composti da Jalal al-Din al-Rumi, il poeta di origini persiane che ha motivato migliaia di fedeli con lavori pregni di rivelazione.
Un esempio?
“Hanno detto: “Da ogni parte c’è la luce di Dio”.
Ma gridano gli uomini tutti :”Dov’è quella luce?”
L’ignaro guarda a ogni parte, a destra, a sinistra; ma dice una Voce:
Guarda soltanto, senza destra e sinistra!”.
O ancora:
“Dio ha fatto in modo che l’illusione sembri reale e il reale un’illusione. Ha nascosto il mare ed ha reso visibile la schiuma; ha nascosto il vento e manifesta la polvere. Tu vedi la polvere turbinare, ma come potrebbe sollevarsi da sola? Tu vedi la schiuma, ma non l’oceano. Perciò invocalo con le azioni, non con le parole, perché le azioni sono reali e ti daranno la salvezza nella vita a venire”.
Basti pensare che moltissimi poeti iraniani furono, in passato, mistici di grandissima fama: oltre al già citato Rumi, non possono mancare all’appello anche Hafez, Attar, Djami, Sadi e Ferdousi. Questi uomini straordinari, dediti all’importanza della preghiera e delle azioni che consentono all’animo di nobilitarsi, sono modelli comportamentali che non conoscono lingua, confini geografici, etnia o credi religiosi.
È proprio grazie al loro impegno che le classi del ceto medio hanno potuto fare esperienza del sufismo nella quotidianità, trasformando le parole del Dio nel punto di partenza da cui padroneggiare le virtù più care agli uomini: la gentilezza, la sospensione del giudizio, la voglia di impegnarsi, così come la capacità di guardare al futuro con coraggio e ottimismo.
Ed è questo il motivo per cui l’Iran e i Paesi del Medio Oriente condividono una sensibilità mistica sui generis; una naturale predisposizione alle emozioni, alla Verità e alla saggezza individuale che noi occidentali ammiriamo da lontano. E spero vivamente che la comprensione dei dogmi sufi ti abbia consentito di gettare luce su un passato che, spesso ingiustamente, viene relegato ai margini del patrimonio culturale di cui disponiamo.
Per approfondire le basi del sufismo e scoprirne l’affascinante storia, ti suggerisco di immergerti nella lettura di Antiche pratiche di guarigione sufi di Haji Muzaffar Usmanov: un manuale dal taglio pratico, scritto con penna brillante, che ti consentirà di fare luce sulla componente più attiva, dinamica e coinvolgente dell’esoterismo islamico.
Nel frattempo, ti ricordo di iscriverti alla newsletter di So di Non Sapere per ricevere settimanalmente i migliori contenuti di crescita personale nella tua casella di posta elettronica.
Se invece vuoi approfondire l’importanza del cambiamento interiore, dai un’occhiata ai miei articoli sul tema dello Spirito. Chissà che non diventino un ottimo punto di partenza da cui trovare la tua strada in direzione della felicità!
Un abbraccio,
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